Medicina empirica e medicina tradizionale

Perché ci ammaliamo e come ci possiamo curare? Da secoli l’uomo studia sé stesso e la natura per prevenire o guarire dolori e malesseri, fondando le terapie su visioni e modi di concepire la vita e il suo funzionamento.
Se nell’antichità le malattie erano considerate castighi degli dei e i medici erano guaritori, stregoni o sciamani, è con Ippocrate e il suo Corpus Hippocraticum che si abbandonano mitologia, religione e magia. Con lo studioso greco, 2.500 anni fa nasce la medicina come scienza, fondata sulla conoscenza della natura (physis). Una scienza che negli studi di Ippocrate e dei suoi allievi tiene insieme due interpretazioni dell’uomo e della vita.

L’eredità di Ippocrate
Per Ippocrate e la sua scuola, grazie all’osservazione e alla sperimentazione il medico può giungere alla verità, ma le osservazioni empiriche vanno inserite in un quadro complessivo, in grado di dare un ordine alla varietà dei fenomeni osservati. Solo in questo modo, per il medico di Kos, si può raggiungere una conoscenza universale, scientifica. Allo stesso tempo, il corpo umano è animato da una forza vitale che agisce per riportare equilibrio dove c’è disarmonia e guida l’organismo alla guarigione.
Dopo Ippocrate si aprono due strade di pensiero. Da un lato il pensiero razionalista, fondato sulla ragione, su un metodo analitico e meccanicistico che definisce teorie universali riconosciute valide a priori, scomponendo il corpo umano in apparati e sistemi: apparati respiratorio, cardio-circolatorio, digerente, sistema muscolare, nervoso, circolatorio, ecc. Dall’altro l’interpretazione empirica, che si basa sull’esperienza e sulla verifica a posteriori, su un pensiero sintetico basato sul concetto di vitalismo, che considera l’uomo come qualcosa di più delle sue parti: un uomo che è corpo, anima e Spirito.
A teorie contrapposte seguono diversi modi di interpretare la malattia e le terapie di cura. Secondo i razionalisti la salute è l’assenza di sintomi, la malattia consiste nell’alterazione di uno o più apparati o sistemi, e i metodi di cura sono legati a discipline e leggi esterne al corpo. La terapia si fonda sull’opposizione tra malattia e rimedio, richiamandosi al principio di contraddizione di Aristotele, secondo cui una stessa cosa non può essere e non essere allo stesso tempo, quindi uno stesso elemento non può essere sia malattia che rimedio. Ad esempio, l’infiammazione si cura con il suo opposto, l’antinfiammatorio, il dolore si supera con l’antidolorifico e il tumore regredisce con una terapia antitumorale. L’efficacia della cura viene decisa a priori, tramite teorie valide per tutti, che definiscono prima della guarigione cosa riuscirà a sanare il malessere. Per gli empirici, invece, l’organismo è un sistema in divenire, in continuo dialogo con l’ambiente che lo circonda e con il suo Io Superiore. È soggetto alle proprie leggi ed è capace di reagire a stimoli e a trovare i rimedi dentro a sé stesso. La salute è un equilibrio dinamico, la malattia è una perturbazione della forza vitale ed è generata da più cause, non solo fisiche ma anche legate alle emozioni, all’anima e allo Spirito. Le terapie sono quindi legate a rimedi e pratiche che stimolano un processo di reazione fisica, spirituale ed emotiva. Non ci sono soluzioni universali, né rimedi uguali per tutti. Ogni sintomo va interpretato come unico e di conseguenza la sua cura è irripetibile, perché unico è il complesso vitale che ha fatto emergere il problema. Inoltre, la cura agisce sulle similitudini, dove la malattia è all’origine del rimedio, secondo un processo naturale di costruzione, crisi e soluzione in cui agiscono elementi simili. L’efficacia di una cura non emerge a priori, ma a posteriori, attraverso l’accumularsi nel tempo di esperienza che poi si tramanda per prossimi casi simili (ma non uguali).

Ragione ed esperienza, nella storia
La storia delle due grandi tradizioni di pensiero è millenaria e attraversa tutti i secoli, per arrivare a oggi dove le due teorie vivono una in opposizione all’altra. Molti gli studiosi e i pensatori che hanno sposato una o l’altra delle visioni, costruendo di conseguenza le loro pratiche scientifiche. La scuola galenica può essere considerata il culmine del razionalismo antico, ma con in sé ancora degli aspetti empirici. Intorno al 150 a.C. Galeno prende a modello il pensiero di Aristotele e la geometria euclidea per formulare una scienza medica secondo metodi analitici e dimostrativi. Studia anche i testi ippocratici, che lo portano a teorizzare 4 elementi che compongono organi, sistemi e tessuti viventi, e a considerare le malattie come squilibri nel rapporto tra corpo ed ambiente esterno. In realtà, su diagnosi e terapia il medico di Pergamo non ha molto da obiettare agli empirici, ed è d'accordo sull'importanza dell'osservazione diretta (autopsia) o tramandata (historia). Ritiene però che il rifiuto della teoria causale e dell'anatomia facciano della medicina empirica una scienza dimezzata, più simile a una tecnica terapeutica.
Il pensiero di Galeno rimane attuale fino all’età moderna, quando - mantenendo lo stesso approccio dimostrativo e di relazione causale - viene riformulato in termini matematici, fisici e chimici, grazie ad esempio alla teoria del calcolo infinitesimale di Isaac Newton, alla geometria analitica di Cartesio, oppure in campo medico alla scoperta di Marcello Malpighi dei capillari e del legame tra arterie e vene. Con l’Ottocento si giunge al Positivismo e alla scienza esatta, che per esserlo deve essere fondata, misurabile e oggettiva. Dalle teorie evoluzioniste di Charles Darwin alla nascita di nuove discipline quali la psicologia, l’antropologia e la sociologia, l’uomo e la natura vengono sezionati e catalogati in ogni loro aspetto. La medicina prosegue con il metodo di analisi, diagnosi e cura fino ai giorni nostri, isolando sempre di più i sintomi, indagando le cause chimiche, meccaniche, biologiche e genetiche, nella convinzione che a ogni malattia corrispondano cause uguali per tutti, che possono essere analizzate da sole e fuori dal contesto di vita del paziente (in laboratorio, su cavie, in ambienti controllati).
Dall’altro lato, la medicina empirica segue nei secoli l’insegnamento ippocratico secondo il quale per il corpo è naturale andare verso l’equilibrio e la guarigione, in linea con il principio dell’omeostasi, ossia del compensare e dell’andare verso l’armonia. Molte malattie sono in realtà tentativi di guarigione: l’ascesso ad esempio è un modo per incapsulare l’infezione e isolarla dal resto del corpo. Non si tratta di intervenire, ma di permettere e agevolare il naturale decorso della vita.
Con il naturalismo rinascimentale di Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto Paracelso, la medicina empirica si apre a chimica e speculazione. L’organismo (il microcosmo) e il suo ambiente (macrocosmo) interagiscono, essendo formati dagli stessi minerali. La malattia emerge quando i minerali esterni infiammano il suo gemello interno, e la cura risulta dalla somministrazione del minerale alla base del processo di infiammazione. Il suo pensiero segna gli studi di molti scienziati e medici nei secoli successivi, fino ad arrivare a inizio Ottocento, quando gli insegnamenti di Ippocrate e di Paracelso si arricchiscono di una teoria dei farmaci: l’omeopatia, teorizzata da Samuel Hahnemann. Contro la medicina tradizionale del tempo (che Hahnemann chiama allopatia, perché intende combattere i sintomi morbosi con rimedi utili a sopprimerli – “contraria contrariis curantur”), il medico tedesco ricorre al principio dei simili per cui la malattia si cura con rimedi che l’hanno provocata (“similia similibus curantur”). Egli scopre che sostanze e medicinali somministrati a dosi elevate a persone sane, provocano i sintomi di malattie che possono essere curate con dosi infinitesimali della stessa sostanza o farmaco. E l’efficacia di un medicamento omeopatico aumenta mano a mano che si diluisce, fino al punto i cui non c’è più la sostanza ma solo la sua memoria nel diluente. Questa è più forte della sostanza, rendendo il farmaco omeopatico più potente.
Le teorie di Hahnemann si collegano ai successivi studi di microbiologia di Luis Pasteur. L’osservazione delle anomalie nella fermentazione di birra, aceto e vino, o di forme di rabbia, colera e malattia del carbonchio negli animali, portano il chimico e biologo francese a sperimentare i vaccini, secondo il concetto che il simile sopprime il simile, per cui dosi attenuate del virus aiutano a curare e a prevenire la malattia generata da quello stesso virus. Edward Bach, chirurgo e batteriologo inglese, fa tesoro degli insegnamenti di Hahnemann e degli studi di Pasteur, studiando i vaccini omeopatici (“i sette nosodi di Bach”) e successivamente i rimedi floreali, conosciuti in tutto il mondo come Fiori di Bach. L’intento del medico di Birmingham è quella di superare la medicina tradizionale, che teneva conto solo della malattia e non della complessità della persona, per fondare la terapia di guarigione sullo studio della personalità del paziente: i rimedi vanno somministrati in base non tanto al corpo di una persona, ma al suo carattere, alle sue emozioni e alla sua psicologia.

Il vitalismo della chiropratica
La chiropratica si inserisce in questo filone di pensiero empirico e vitalistico. Nata a fine Ottocento, grazie a Daniel David Palmer, è una scienza medica basata sulla lesione neurologica e la conseguente insofferenza. Il medico chiropratico cura e previene i disordini del sistema muscolo-scheletrico e gli effetti che queste alterazioni possono avere sulle funzioni del corpo e più in generale sullo stato di salute di una persona. Secondo una visione olistica che guarda al tutto e non solo a una parte, il suo obiettivo è quello di assecondare la forza vitale di ogni paziente, non solo attraverso l’analisi dello stato fisico del paziente, ma anche tramite lo studio del suo stile di vita (alimentazione, contesto atmosferico e ambientale, stato emotivo, psicologico e sociale, ecc.).

Il quantismo e la medicina del futuro
A inizio Novecento, con lo studio dell’atomo e della radiazione elettromagnetica, la teoria meccanicistica classica non è più sufficiente per spiegare la materia, non quella sub-atomica. Serve una revisione della visione tradizionale della materia. A rinnovare è il fisico tedesco Max Planck, il quale afferma che lo scambio di energia tra la materia e la radiazione avviene per quanti, ossia pacchetti discreti di energia. Pacchetti che poi Albert Einstein associa a particelle (i fotoni). Nasce così la meccanica quantistica, che descrive la materia come fenomeno ondulatorio, conseguenza di uno stato energetico, ossia di una forza vitale. Particelle identiche se vibrano a frequenze diverse possiedono una quantità minima di energia diversa. La materia non può essere sezionata e analizzata in ogni sua parte in modo universale e sempre uguale, ma in modo relativistico. Con il quantismo si assiste a una grande rivoluzione per la fisica, che si apre a una visione vitalistica della materia, descrivendola come in continuo mutamento, in relazione e interazione con il contesto e l’ambiente circostante. Inoltre introduce nella ‘scienza esatta’ il concetto di energia creatrice che emana una energia discreta, sottile e in movimento. Non accade lo stesso in ambito medico, dove il pensiero razionalista ha preso il sopravvento, riducendo la tradizione empirica alla marginalità: una scienza dimezzata, come sosteneva Galeno, perché non supportata da teorie fondate sull’analisi e su modelli standard che si ripetono e sono validi per tutti. In realtà la sua non-universalità ne è il punto di forza. Se le teorie astratte e ‘a priori’ adattano l’organismo a se stesse, rischiando di non essere efficaci per tutti (come nel caso di sostanze e terapie approvate dal sistema sanitario, ma poi ritirate dal mercato perché tossiche o non utili per tutti), o di risolvere solo un aspetto del problema (il mal di testa si cura con l’aspirina, senza indagare quel sintomo come un elemento di un processo in corso più ampio, legato ad esempio ad alimentazione, ritmi del sonno, postura, masticazione e occlusione dentale, emozioni bloccate), per la medicina empirica i sintomi e le malattie appaiono sempre per un insieme di cause legate a corpo e anima, e non ci sono terapie univoche, la cura sarà sempre diversa per ogni individuo e si adatterà al suo micro e macro-cosmo.
Nonostante le accuse di non scientificità, la medicina empirica non è priva di fondamento, non prosegue per tentativi, ma si basa su una scientificità che non è analitica e razionale, ma storica, che si fonda su esperienze stratificate nella storia, con risultati controllati ogni giorno attraverso l’osservazione e la pratica dei medici e pazienti, in un costante perfezionamento. Si tratta di sposare una visione olistica della vita e della cura medica, in opposizione a una visione riduzionistica che separa, isola, e così riduce.
Se la fisica si è sottoposta a una profonda revisione critica, la medicina tradizionale dovrebbe seguirne le orme, per poter rispondere con maggiore efficacia alle problematiche che affronta, studiando e risolvendo malattie e malesseri in modo non settoriale, ma globale. Non si tratta di un conflitto, ma di tendere a una convivenza pacifica e costruttiva fra approccio meccanicistico e approccio empirico, per il bene del paziente. Sarà quantistica la medicina del futuro? La chiropratica va già in questa direzione, con risultati di grande successo.


Dottor Ulf Peter Christensson - Chiropratico, con studi in chinesiologia applicata e neurologia funzionale. Dopo un diploma di liceo scientifico conseguita nel 1970 ad Hässleholm (Svezia), studia chiropratica a Bournemouth (UK) e a Chicago (USA) dove diventa dottore in chiropratica nel 1975. Nel 1990 consegue l’abilitazione professionale presso il Ministero della Sanità di Svezia e ottiene dagli Stati Uniti un diploma in chinesiologia applicata. Sempre dagli Stati Uniti, nel 1998 conclude un postgraduate in neurologia funzionale. Dopo aver lavorato come chiropratico per dieci anni a Roma (Italia), nel 1986 fonda il centro medico Elva Medica, oggi con sede a Campagnano di Roma.